Il sognatore




La lama di luce spezza la semioscurità dell’hangar, scintilla sul cockpit, disegna il muso, i piani di coda e poi man mano le prese d’aria e la larghezza delle ali.
L’aria del primo mattino entra fresca insieme agli specialisti che oggi paiono prendersela con insolita calma.
Poche parole, quasi sussurrate, inframezzano gli ordini routine.
Le mani che si posano sapienti sulle lamiere sono particolarmente delicate e, a tratti, quasi sembrano lasciarsi sfuggire una carezza.
È una normale mattina di lavoro qui in base, eppure l’aria vibra di una strana sensazione, come di tempo sospeso.
I minuti scorrono lenti oggi, il pilota sembra non arrivare mai e il cielo azzurro tempestato di fiocchi di nuvole candide è un richiamo irresistibile.
Finalmente un saluto pronunciato ad alta voce e l’ultimo controllo pre volo, ma anche questo pare infinito, particolarmente meticoloso e si conclude con una carezza e una leggera pacca sulla carlinga, accanto alla cerniera del cockpit.
Gli specialisti si allontanano, qualcuno accenna ad un saluto mentre iniziamo a spostarci con calma lungo il rullaggio.
Stamattina il cielo è perfettamente azzurro e le nuvole sembrano messe lì apposta per giocarci, come uno sconfinato parco divertimenti.
La pista scorre via, il pilota chiede un decollo allegro e il muso punta dritto verso quell’enorme Luna Park.
È previsto di sicuro un volo divertente.
Due passaggi sulla base, un tonneau lungo pista, un ultimo passaggio battendo le ali e poi via verso la missione prevista per oggi.
La rotta non mi è nota, non sarebbe la prima volta, non mi preoccupa. Il cielo tutto intorno è il nostro elemento, sa essere ostile o gentile, ma non ci è sconosciuto.
La terra sotto la fusoliera scorre veloce, elemento estraneo. L’aria amica ci sostiene, scivola e accarezza, mentre sbuffi di nuvole restano aggrappati alla punta delle ali, fili sottili di zucchero filato.
Ad un tratto ci si para dinnanzi un soffice mare bianco, spumeggiante. Impossibile resistere alla tentazione di sfiorarlo e giocare con le sue effimere onde.
Un tonneau, un altro, un lungo istante di volo rovescio, un sospiro e poi il ritorno alla serietà e al rigore, l’umidità frizzante delle nuvole che brilla sulle ali e scivola via in lieve condensa.
Non conosco la pista su cui stiamo atterrando, l’abbiamo sorvolata una volta in un largo cerchio prima dell’avvicinamento e accanto ad un hangar c’erano delle persone in attesa. Che stiano aspettando proprio noi?
L’asfalto sembra più duro del solito sotto il carrello e il tono della voce del pilota è quasi malinconico.
Davanti all’hangar ci attendono una decina di persone, sorridenti, evidentemente entusiaste.
Il pilota esce dal cockpit, parla con gli uomini che sono venuti ad accoglierci, poi si volta, posa la mano nuda sul muso e sorride appena, accennando un saluto.


È mattina, la lama di luce spezza la semi oscurità dell’hangar e illumina man mano fusoliere, code, ali. Tenta di scintillare su cockpit coperti o impolverati.
Il cielo azzurro è sempre là, a volte terso, a volte dipinto da bianche nuvole con le quali sarebbe meraviglioso giocare.
Ricordi di centinaia di voli turbinano, intrappolati in questo involucro ormai vuoto.
Appisolato, sogno di essere ancora lassù, il cielo che si specchia nella fusoliera e le nuvole che s’aggrappano giocose alla punta delle ali.



 

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